Per voi un blog dedicato interamente ai Libri: libri antichi, moderni, contemporanei, divertenti, impegnati, di ogni genere e argomento. Un blog dedicato, però, anche a ciò che va oltre i libri, a ciò che da essi scaturisce: idee, sentimenti, riflessioni e tutto quello che, dalla notte dei tempi ai nostri giorni, ha sempre spaventato i dittatori, i fanatici e gli ipocriti ed ha sempre fatto progredire la civiltà e la libertà interiore di ogni individuo.
Citazione della settimana
CITAZIONE DELLA SETTIMANA
"...una volta che sai cos'è la cosa che vuoi che sia vera, l'istinto è un mezzo molto utile per metterti nelle condizioni di sapere che è vera."
(da Douglas Adams, Addio, e grazie per tutto il pesce; Milano, Mondadori, 1986)
mercoledì 21 dicembre 2011
Sostiene Pereira, di Antonio Tabucchi
Anno di pubblicazione: 1994
Sostiene Pereira. Una testimonianza. è uno dei più bei romanzi italiani degli ultimi vent'anni, forse il migliore.
Siamo in Portogallo, tra il luglio e l'agosto del 1938, nel pieno della dittatura di Salazar.
Il dottor Pereira è un giornalista, responsabile della pagina culturale del Lisboa, giornale pomeridiano della capitale portoghese. E' un vedovo malinconico, un uomo grasso che compensa col cibo la propria infelicità. Trascorre le sue giornate tra le omelette e le limonate del Café Orquídea e la redazione culturale di Rua Rodrigo da Fonseca. E' cattolico osservante.
Ha l'abitudine di parlare col ritratto della moglie defunta e, non avendo superato il lutto, vive sospeso tra la nostalgia di un passato felice e il pensiero costante della morte, vissuta come tramite per ricongiungersi idealmente alla donna. Per questo, vive quasi estraneo alla realtà che lo circonda.
Un giorno conosce Francesco Monteiro Rossi, giovane laureato in filosofia al quale decide di affidare una rubrica di necrologi per autori scomparsi. Il ragazzo gli propone, però, articoli sempre impubblicabili, perché ostili alle idee del regime salazarista, e, insieme alla sua fidanzata, Marta, finisce per coinvolgerlo, chiedendogli un appoggio esterno, nell'attività di opposizione alla dittatura. Pereira non lo licenzia, decidendo invece di aiutarlo, anche economicamente, perché probabilmente vede in lui il figlio che non ha mai avuto.
Intanto le violenze della polizia sollecitano in grado sempre maggiore il senso etico del giornalista e si fa sempre più pesante la pressione della censura sulle sue scelte editoriali. Tutto ciò porta Pereira a maturare gradualmente una consapevolezza maggiore della situazione contemporanea e un senso di colpa per la propria indifferenza politica, finché la tragica fine di Monteiro Rossi gli dà la forza per ribellarsi definitivamente alla propria accidia e alla censura del regime, proiettandolo verso una vita nuova.
La vicenda narrata, che trae spunto da un fatto vero (almeno per quanto riguarda la svolta finale), si presenta come un resoconto preciso e dettagliato, simile a un verbale di polizia, scandito dalla formula che dà il titolo al libro. Ma questa veste narrativa, che potrebbe sembrare fredda e distaccata, si colora di emozioni e tratti psicologici vivi e intensi, lasciando trasparire, in un quadro lucido ma coinvolgente, una vicenda umana profonda, caratterizzata da conflitti interiori che riguardano aspetti fondamentali del vivere, come la nostalgia, il dolore, l'etica e l'impegno civile.
Alcune altre opere di Antonio Tabucchi sono Piazza d'Italia (1975), Donna di porto Pim (1983), Piccoli equivoci senza importanza (1985), Requiem (1992), L'oca al passo (2006) e moltissime altre.
Da Sostiene Pereira è stato tratto, nel 1995, l'omonimo film di Roberto Faenza.
Gridoux
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martedì 13 dicembre 2011
Più libri più liberi - decima edizione
Si è conclusa domenica scorsa (11-12-2011), dopo cinque giorni di intensa attività, la decima fiera della piccola e media editoria di Roma, Più libri più liberi, ospitata anche quest'anno dai vasti spazi del Palazzo dei Congressi dell'Eur.
Animata dalla volontà di mettere in luce e far conoscere anche le case editrici meno note, ha visto la partecipazione di più di 400 editori, di distributori come IBS, di varie associazioni (tra cui Bel-ami e Librerie indipendenti) e di autori più e meno noti, ma sempre interessanti, come Andrea Molesini, Alessandro Barbero, Shadi Hamadi, Joe Lake, Amara Lakhous, Luli Gabrieli, Andrea Camilleri, Massimo Carlotto e moltissimi altri.
Tra le iniziative che hanno affiancato l'attività dei numerosi espositori, si segnala la Bibliolibreria, uno spazio dedicato al prestito o all'acquisto di libri, il Caffè letterario, lo Spazio giovani, con molte iniziative per bambini e ragazzi di tutte le età, e una serie di incontri su temi attuali e davvero interessanti, tra cui "Figli di tante Patrie. Scrittori di seconda generazione raccontano le prime", "Biblioteche in tempo di crisi", "Architettura della città e spazi culturali" e "La traduzione letteraria: testimonianze dalla filiera del libro".
La manifestazione, sostenuta da Biblioteche di Roma e dal Comune della capitale, è stata seguita da Fahrenheit, il programma di Radio 3 dedicato ai libri.
Lascio a voi il commento su quest'iniziativa culturale: scrivete cosa ne pensate e, se vi avete preso parte (da spettatori o da protagonisti), che impressioni ne avete ricavato.
Bob
lunedì 5 dicembre 2011
Il gioco dell'amore e del caso, di Pierre de Marivaux
Commedia in tre atti, ambientata a Parigi
Prima rappresentazione: 1730
Titolo originale: Le jeu de l'amour et du hasard
Una celebre commedia degli equivoci che si colloca nel '700 francese.
Silvia sa bene che non è facile trovare un buon partito: quanti uomini, all'apparenza gentili e gioviali, si rivelano poi, una volta sposati, noiosi, scontrosi o prepotenti... Così, quando il padre Orgone le propone come futuro marito Dorante, all'apparenza un bravissimo giovane, Silvia, per poter osservare e valutare meglio il pretendente, decide di prendere il posto della sua cameriera, Lisetta, la quale a sua volta fingerà di essere la padrona. Quello che però Silvia non sa è che anche Dorante, per lo stesso motivo, ha deciso di vestire i panni del suo servitore, lasciando a quest'ultimo, che è Arlecchino, il compito di sostituirlo, con tutte le gaffe e le gag che ne conseguono. Gli unici a sapere del doppio scambio di persona sono il signor Orgone e suo figlio Mario, che si preparano ad assistere a questa commedia nella commedia da spettatori, ma anche, in parte, da registi, dal momento che condizioneranno i personaggi e gli eventi con il loro diretto intervento, attraverso un gioco psicologico molto sottile ed astuto.
In una tipica atmosfera scanzonata da commedia dell'arte, tra inevitabili equivoci e fraintendimenti, le vicende troveranno alla fine un esito positivo, con i due protagonisti (Silvia e Dorante) che, innamoratisi l'uno dell'altra e convinti dapprima di trovare un ostacolo nella differenza di ceto sociale (vedono entrambi nell'altro un servitore), scopriranno infine la lieta verità, che rimuoverà ogni ostacolo, portando i due giovani al settimo cielo. Analoga sorte, anche se su toni diversi, avrà l'amore tra Lisetta e Arlecchino.
Questo capolavoro del teatro francese, interpretato per la prima volta a Parigi dai comici italiani nel 1730, si svolge in un contesto gioioso e spensierato, ma offre anche l'opportunità di riflettere su abitudini sociali coeve. Innanzitutto il matrimonio combinato, che sembra essere condannato dall'autore senza alcuna remora: Orgone, infatti, afferma la libertà di scelta di Silvia, la quale a sua volta insiste nel rimarcare questo suo diritto. Per quanto riguarda, invece, la differenza di ceto sociale, essa si presenta come un ostacolo consistente all'unione matrimoniale, per quanto non insormontabile: infatti Silvia, che scopre la vera identità di Dorante prima di rivelare la propria, continua a fingersi domestica allo scopo, poi riuscito,di farsi accettare come futura sposa anche in queste umili vesti.
Pierre Carlet de Chamblain de Marivaux (1688-1763), considerato il commediografo francese più importante del XVIII secolo, scrisse sia per la Comédie-Française che per la Comédie-Italienne. Alcune altre sue opere teatrali sono L'amore e la verità (1720), La sorpresa dell'amore (1722), L'isola degli schiavi (1725), Il trionfo dell'amore (1732), Le false confidenze (1737) e La provinciale (1761).
Gridoux
lunedì 28 novembre 2011
Attila Jòzsef: biografia e opere
Poeta ungherese
Budapest, 11 aprile 1905 - Balatonszárszó, 3 dicembre 1937
Nato a Budapest l'11 aprile 1905 da famiglia povera, visse un'infanzia caratterizzata dalla miseria, da lavori umili e malpagati, dall'assenza del padre e dalla malattia della madre, morta prematuramente nel 1919. Nonostante questo, anche grazie all'aiuto del cognato, portò a termine con successo gli studi e frequentò l'università di Seghedino, dalla quale fu allontanato a causa di una poesia. In seguito studiò anche a Vienna e a Parigi, e infine nella sua città natale, senza però completare gli studi, per contrasti col mondo accademico del tempo.
Scrisse la prima poesia di cui si abbia conoscenza all'età di 11 anni e pubblicò la sua prima raccolta a 17, nel 1922, dopo aver conosciuto ed aver ricevuto l'appoggio e la stima del grande poeta ungherese Giulio Juhász. Gli argomenti delle sue poesie riflettono le vicende della sua vita: la povertà e il lavoro, l'impegno politico, il misticismo religioso e i vari amori, tra i quali furono determinanti quello felice per Marta Vágô, interrotto per volere della ricca famiglia della ragazza, e quello non corrisposto per l'amica Flóra Kozmutra, che risale agli ultimi mesi della sua vita. Jòzsef frequentò circoli letterari, fu pubblicato sulle riviste più importanti del suo paese, venne ammirato e criticato per le sue idee. Fu sottoposto a processo sia per uno dei suoi componimenti religiosi (considerato oltraggioso), sia per le sue poesie di ambito politico, dal momento che si opponeva al regime vigente e parteggiava per il partito comunista clandestino, dal quale fu comunque poi espulso perché non allineato alla mentalità predominante.
La miseria, le delusioni amorose, la preoccupazione per la situazione politica furono fattori che contibuirono al peggioramento della sua nevrosi. Fu sottoposto a cure psichiche, visse per un periodo in sanatorio e, infine, presso la sorella, a Balatonszárszó, dove, nel dicembre 1937, morì ucciso da un treno, verosimilmente suicida (anche se non tutti i critici concordano con questa versione).
Opere: Il mendicante della bellezza (1922), Non io grido, è la terra che rimbomba (1924), Non ho né padre, né madre (1930), Abbatti il tronco, non piagnucolare (1931), Notte di periferia (1932), Ballo d'orso (1934) e Fa molto male (1936).
Edizioni in italiano: "A. Jòzsef, Flóra, amore mio, Bulzoni, 1995"; "A. Jòzsef, Poesie. 1922-1937, Mondadori, Oscar poesia del Novecento, 2002, a cura di Edith Bruck"; "A. Jòzsef, Poesie scelte, Lithos, 2005"; "A. Jòzsef, Il mendicante di bellezza, Il Faggio, 2008".
Altri celebri poeti ungheresi del '900 sono Endre Ady, Mihály Babits, János Pilinszky ed Edith Bruck.
E' inevitabile accennare, per concludere, a ciò che purtroppo sta accadendo in questi giorni in Ungheria, dove le autorità politiche hanno manifestato l'intenzione di rimuovere una statua che ricorda Attila Jòzsef. I poeti, gli intellettuali, una parte consistente della società civile hanno reagito presidiando il luogo e leggendo, nel contempo, le poesie del grande poeta. Resta, tuttavia, la brutta immagine di un'azione autoritaristica, inserita in un quadro più ampio di analogo tenore, sostenuto, dispiace dirlo, da una parte consistente dell'opinione pubblica del paese (solo in parte giustificata nelle sue posizioni dalla probabile influenza negativa di suggestioni mediatiche e demagogiche). Non si tratta, qui, di attaccare posizioni politiche o ideologiche: quello che è inaccettabile per una società in grado di ragionare e prendere decisioni responsabili è la censura dell'informazione, delle opinioni e delle idee, comprese quelle che derivano dai libri. La censura è l'atteggiamento tipico dei prepotenti e di chi vuole raccontare falsità, ma anche dei fanatici e degli ipocriti: di chi, insomma, non può affrontare e confutare un'idea in modo razionale. La speranza è che l'Ungheria possa riacquistare presto una dignità civile più compiuta e cancellare dal suo presente una forma di organizzazione politica tanto inattuale quanto ottusa.
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sabato 19 novembre 2011
La donna del Père-Lachaise, di Claude Izner
Anno di pubblicazione: 2007
Titolo originale: La Disparue du Père-Lachaise
Un giallo storico e un po' sognante.
Siamo nella Parigi del 1890.
Una nobildonna, Odette de Valois, scompare nel cimitero del Père-Lachaise, dove si è recata a far visita alla tomba del marito. La sua giovane domestica, terrorizzata, chiede aiuto a Victor Legris, un libraio trentenne, ex amante della donna scomparsa e appassionato di indagini e misteri da risolvere. Aiutato dal giovane Joseph, il suo commesso, Victor inizia a indagare sull'episodio e sulle morti ad esso collegate, muovendosi nei luoghi più caratteristici della capitale, tra caffè, atelier, strade affollate, ville ed edifici fatiscenti, sulle tracce di un quadro scomparso e di un assassino che sembra essere onnipresente.
Non è solo la trama davvero intrigante che rende questo giallo estremamente interessante e piacevole da leggere: c'è molto di più.
Prima di tutto il fascino e l'atmosfera sognante, carica di suggestioni, della Parigi di fine '800, con i suoi locali, i suoi artisti e i suoi poeti maledetti. Sono gli anni di France, Zola, Mallarmé e Verlaine, gli anni che vedono la nascita del Moulin-Rouge e del Chat Noir, della Tour Eiffel e di un fermento scientifico che porta a grandi scoperte, ma anche gli anni delle rivendicazioni operaie e dei primi slanci di emancipazione femminile.
In questo contesto si collocano personaggi altrettanto unici ed interessanti, tratteggiati con grande maestria: Victor Legris, il libraio-investigatore, Kenji Mori, il suo padre adottivo, giapponese, Tasha, la sua fidanzata pittrice, Joseph, il commesso divoratore di libri e aspirante scrittore, père Moscou, reduce che vive di espedienti e ricordi evanescenti del passato. Sono solo alcuni dei personaggi che animano le pagine di quello che non può essere definito semplicemente un romanzo d'intrattenimento.
La donna del Père-Lachaise è il secondo di una serie di gialli che hanno per protagonista il libraio Victor Legris e le persone che lo circondano, le cui vicende private, per nulla banali, si sviluppano parallelamente ai casi che di volta in volta vengono risolti. Di Claude Izner, pseudonimo di due scrittrici parigine a loro volta libraie, in Italia sono stati pubblicati finora (novembre 2011) sei titoli: Il mistero di rue des Saints-Pères, La donna del Père-Lachaise, Il delitto di Montmartre, L'assassino del Marais, Il rilegatore di Batignolles e Il talismano della Villette. La figura del libraio-investigatore, nel primo romanzo più impulsivo e paranoico che perspicace, viene a delinearsi in modo compiuto solo nel secondo episodio della serie; il suo profilo psicologico, invece, cambia di continuo, insieme alle vicende vissute dal personaggio.
Per quanto riguarda i romanzi affini, sarebbe impossibile citare qui tutti i gialli di Agatha Christie, Georges Simenon, Arthur Conan Doyle e di tutti gli altri maestri di questo genere. Si possono invece menzionare alcuni altri gialli storici, come quelli di Ellis Peters, ambientati nell'Inghilterra medievale, dei quali è protagonista il monaco Cadfael, o quelli di Robert van Gulik, che trovano la loro collocazione storica nella Cina del VII secolo d.C.. oltre a questi, naturalmente, va ricordato Il nome della rosa di Umberto Eco, che non fa parte di un filone e che, d'altronde, non soltanto per questo è un libro unico.
Se avete altri esempi da suggerire, citateli pure nei commenti a questo post, insieme alle vostre impressioni sul libro recensito.
Gridoux
venerdì 11 novembre 2011
Don Chisciotte della Mancia, di Miguel de Cervantes
Anno di pubblicazione: 1605 e 1615
Titolo originale: El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha
Il capolavoro di Cervantes, che è stato definito il primo romanzo moderno, è interessante, prima ancora che per ciò che vi si narra, per il modo in cui è stato concepito ed è poi mutato, durante la sua stesura, fino a trasformarsi in qualcosa di molto diverso da quello che era in origine.
Al tempo di Cervantes (1547-1616) in Spagna andavano molto di moda romanzi cavallereschi in cui si narrava di impavidi cavalieri, nobili dame, imprese eroiche e terre dai nomi misteriosi (come la California, in origine semplice nome di fantasia). Questo genere di letteratura era ancora privo, per lo più, degli spunti autoironici e parodici di cui in Italia già l'avevano arricchito autori come Pulci, Boiardo e Ariosto; restava, a giudizio di Cervantes, un genere di basso profilo, insensato, consumato fin troppo da lettori di poco spirito. Da qui nacque in lui l'idea di parodiare l'eccessivo attaccamento dei suoi contemporanei a questo tipo di letture.
Nel Don Chisciotte, infatti, immagina che un nobile decaduto della Mancia (un hidalgo), a forza di leggere romanzi cavallereschi, perda la testa e si convinca di vivere nel mondo che essi narrano, diventando a sua volta, per spirito d'emulazione, un cavaliere errante votato alla causa della giustizia e della difesa dei deboli. E così, questo aspirante eroe, si sceglie un nome adeguato (Don Chisciotte appunto), una dama da amare, che ribattezza Dulcinea del Toboso, e, dopo un breve periodo di vagabondaggio solitario, uno scudiero, il contadino Sancio Panza, l'unico abbastanza ingenuo e sprovveduto da credere alle sue future imprese e alle sue promesse.
Nel gioco parodico che mette in atto, Cervantes ribalta quella che era l'immagine tipica del cavaliere: Don Chisciotte non è né bello, né giovane, né invincibile; è invece un uomo allampanato, di mezz'età, che, nella sua follia, indossa un elmo rabberciato col cartone, cavalca un "destriero" malandato dal significativo nome di Ronzinante e ama una "dama" tutt'altro che nobile e bella, che oltretutto non incontrerà mai. Completamente immerso nelle sue fantasie, scambia i mulini per giganti, i religiosi per malvagi incantatori, i gendarmi per arroganti villani, gli osti per castellani ospitali (che quindi non dovranno essere pagati) e sfida a duello chiunque non ammetta che la sua Dulcinea è la donna più bella che esista. Con queste premesse, le conseguenze non possono che essere disastrose, e il volenteroso eroe si trova a imitare le situazioni tipiche dei libri che tanto gli piacciono sempre più malconcio e deperito.
Nel corso della narrazione, però, questo personaggio buffo e ridicolo gradualmente si trasforma. Cervantes, infatti, finisce per affezionarsi a questo nostalgico paladino di valori ormai tramontati, come la lealtà, l'onestà, l'amore, la giustizia: pur nella comicità che suscita, Don Chisciotte assume una sua dignità morale.
L'autore termina la stesura della prima parte dell'opera nel 1605, lasciando in sospeso il vagabondaggio dell'eroe (pur citando la sua morte), cosicché un altro scrittore, che si firma con lo pseudonimo di Avellaneda, ha la possibilità di scrivere la continuazione della storia. Il Don Chisciotte che dipinge, però, è quello sciocco e ridicolo delle origini, non quello maturato nella mente e nell'opera di Cervantes, che per questo motivo, risentito, decide di riprendere in mano le vicende del suo personaggio, trattandolo col rispetto che merita e narrandone infine anche la morte, per evitare che possa essere ulteriormente dileggiato da altri Avellaneda. Don Chisciotte diventa così, nella seconda parte della storia, un uomo acuto e lucido, un saggio, che sragiona e si presta ad essere preso in giro soltanto in materia di cavalleria. Avellaneda, invece, viene fatto oggetto di continui attacchi, tanto piccati quanto mordaci, e lo stesso eroe, ormai reso celebre, anche nella finzione narrativa, dalla pubblicazione della prima parte del romanzo, inveisce contro il ciarlatano che ha parlato di lui in modo tanto falso e ingiurioso.
L'autore termina la stesura della prima parte dell'opera nel 1605, lasciando in sospeso il vagabondaggio dell'eroe (pur citando la sua morte), cosicché un altro scrittore, che si firma con lo pseudonimo di Avellaneda, ha la possibilità di scrivere la continuazione della storia. Il Don Chisciotte che dipinge, però, è quello sciocco e ridicolo delle origini, non quello maturato nella mente e nell'opera di Cervantes, che per questo motivo, risentito, decide di riprendere in mano le vicende del suo personaggio, trattandolo col rispetto che merita e narrandone infine anche la morte, per evitare che possa essere ulteriormente dileggiato da altri Avellaneda. Don Chisciotte diventa così, nella seconda parte della storia, un uomo acuto e lucido, un saggio, che sragiona e si presta ad essere preso in giro soltanto in materia di cavalleria. Avellaneda, invece, viene fatto oggetto di continui attacchi, tanto piccati quanto mordaci, e lo stesso eroe, ormai reso celebre, anche nella finzione narrativa, dalla pubblicazione della prima parte del romanzo, inveisce contro il ciarlatano che ha parlato di lui in modo tanto falso e ingiurioso.
Cervantes riuscì a concludere e pubblicare la seconda parte della sua opera nel 1615, un anno prima della sua morte, consegnandoci un capolavoro capace di intrattenere e divertire i lettori grazie all'intelligenza e all'ironia che lo pervadono, a una narrazione vivace e piacevole e, soprattutto, alle straordinarie figure di Don Chisciotte e Sancio Panza: il primo coraggioso, virtuoso, leale, il secondo concreto, furbo, fifone e opportunista, ma di indole buona; entrambi in parte ridicoli e in parte da ammirare, animati come sono da un miscuglio inimitabile di balordaggine e qualità umane, tanto che è impossibile non affezionarsi alle loro vicende e alla loro compagnia.
Miguel de Cervantes y Saavedra scrisse anche novelle, come Il dialogo dei cani, opere teatrali, come I bagni di Algeri, e un romanzo pastorale, la Galatea, generi letterari tutti presenti, in forma di digressioni o messe in scena, anche nel suo capolavoro.
Una versione attuale davvero bella del Don Chisciotte (la trovate su Youtube) è quella sintetizzata nell'omonima canzone di Francesco Guccini, una lettura in chiave contemporanea dell'impegno dell'eroe contro l'ingiustizia e in favore di valori ormai messi da parte.
Opere affini al Don Chisciotte sono, allargando la prospettiva anche alla parodia dell'epica in senso stretto, il Margite e la Batracomiomachia dello Pseudo-Omero, il Morgante di Luigi Pulci, l'Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo, l'Orlando furioso di Ludovico Ariosto, l'Astolfeida di Pietro Aretino e La secchia rapita di Alessandro Tassoni. Sono solo alcuni titoli tra quelli che hanno da sempre accompagnato in parallelo la fortuna delle opere parodiate.
Miguel de Cervantes y Saavedra scrisse anche novelle, come Il dialogo dei cani, opere teatrali, come I bagni di Algeri, e un romanzo pastorale, la Galatea, generi letterari tutti presenti, in forma di digressioni o messe in scena, anche nel suo capolavoro.
Una versione attuale davvero bella del Don Chisciotte (la trovate su Youtube) è quella sintetizzata nell'omonima canzone di Francesco Guccini, una lettura in chiave contemporanea dell'impegno dell'eroe contro l'ingiustizia e in favore di valori ormai messi da parte.
Opere affini al Don Chisciotte sono, allargando la prospettiva anche alla parodia dell'epica in senso stretto, il Margite e la Batracomiomachia dello Pseudo-Omero, il Morgante di Luigi Pulci, l'Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo, l'Orlando furioso di Ludovico Ariosto, l'Astolfeida di Pietro Aretino e La secchia rapita di Alessandro Tassoni. Sono solo alcuni titoli tra quelli che hanno da sempre accompagnato in parallelo la fortuna delle opere parodiate.
Gridoux
mercoledì 2 novembre 2011
Fahrenheit 451, di Ray Bradbury
Anno di pubblicazione: 1953
Titolo originale: Fahrenheit 451
Iniziamo da un libro in cui sono protagonisti i libri, e che non a caso ha dato il titolo a una nota trasmissione radiofonica ad essi dedicata.
Siamo in un futuro imprecisato, a Los Angeles.
Guy Montag è un pompiere, un brav'uomo, contento di svolgere il suo mestiere: appiccare il fuoco per distruggere i libri ancora esistenti, dal momento che la legge vieta di conservarli e leggerli. Lo fa ridere l'assurda leggenda secondo cui, un tempo, quando le case non erano ancora ignifughe, i vigili del fuoco avrebbero avuto il compito di spegnere gli incendi anziché quello di farli scaturire.
Il mondo in cui vive è perfettamente organizzato, controllato, ultratecnologico. Non mancano gli intrattenimenti, i passatempi, gli spettacoli che permettono alle persone di allontanare la noia e di trascinare avanti un'esistenza inconsapevole e superficiale. Le TV occupano, nelle case più attrezzate, quattro pareti, consentendo agli spettatori di interagire e sentirsi partecipi di un coinvolgente mondo virtuale, mentre, per contro, sembra non esistere una reale vita sociale, neppure all'interno della cerchia famigliare. Dei macchinari medici molto evoluti, infine, permettono di sottrarre alla morte i non pochi individui che, "incomprensibilmente", tentano il suicidio.
E' un mondo ordinato e perfettamente efficiente nel quale, però, sembra non esserci spazio per il pensiero, la curiosità, la riflessione interiore (non per niente i libri vengono distrutti). Anche Montag, come quasi tutti gli altri, vive estraneo e indifferente a ciò che lo circonda e, in fondo, non è felice. Le cose, però, sono destinate a cambiare e il protagonista, anche grazie ai suoi "strani" vicini di casa, riesce pian piano a prendere coscienza di una dimensione umana più profonda, mentre il mondo che di essa l'aveva privato va irreparabilmente in frantumi.
Guy Montag è un pompiere, un brav'uomo, contento di svolgere il suo mestiere: appiccare il fuoco per distruggere i libri ancora esistenti, dal momento che la legge vieta di conservarli e leggerli. Lo fa ridere l'assurda leggenda secondo cui, un tempo, quando le case non erano ancora ignifughe, i vigili del fuoco avrebbero avuto il compito di spegnere gli incendi anziché quello di farli scaturire.
Il mondo in cui vive è perfettamente organizzato, controllato, ultratecnologico. Non mancano gli intrattenimenti, i passatempi, gli spettacoli che permettono alle persone di allontanare la noia e di trascinare avanti un'esistenza inconsapevole e superficiale. Le TV occupano, nelle case più attrezzate, quattro pareti, consentendo agli spettatori di interagire e sentirsi partecipi di un coinvolgente mondo virtuale, mentre, per contro, sembra non esistere una reale vita sociale, neppure all'interno della cerchia famigliare. Dei macchinari medici molto evoluti, infine, permettono di sottrarre alla morte i non pochi individui che, "incomprensibilmente", tentano il suicidio.
E' un mondo ordinato e perfettamente efficiente nel quale, però, sembra non esserci spazio per il pensiero, la curiosità, la riflessione interiore (non per niente i libri vengono distrutti). Anche Montag, come quasi tutti gli altri, vive estraneo e indifferente a ciò che lo circonda e, in fondo, non è felice. Le cose, però, sono destinate a cambiare e il protagonista, anche grazie ai suoi "strani" vicini di casa, riesce pian piano a prendere coscienza di una dimensione umana più profonda, mentre il mondo che di essa l'aveva privato va irreparabilmente in frantumi.
La narrazione di Bradbury riesce ad affascinare e coinvolgere dipingendo un mondo che, per molti aspetti, ha i tratti di un'allucinazione grottesca, ma che, insieme, ha un profondo legame con la realtà e i comportamenti tipici degli esseri umani, prima di tutto in senso sociale e politico.
A dominare questo mondo non è la dittatura oppressiva e onnipresente del 1984 di Orwell, in cui l'occhio del Grande Fratello vigila ovunque e punisce senza scampo, ma è, al contrario, una forma di controllo molto più leggera e impalpabile, anche se altrettanto efficacie. In questo caso, infatti, l'uomo non si sente controllato, può condurre una vita tranquilla, respira, ma, alienato e inebetito dalla televisione di regime, e in assenza di altri spunti culturali, viene portato all'isolamento sociale e privato di fatto della sua libertà mentale e della sua capacità di elaborare idee. In questo senso, quello di Fahrenheit 451, è un futuro niente affatto remoto e descrive, anzi, l'atteggiamento sempre esistito di chi cerca di controllare il pensiero altrui prima di tutto attraverso la censura dei libri (si possono citare svariate dittature, più e meno recenti, l'Inquisizione, ecc., ecc.). Per questo motivo il mondo descritto da Bradbury fa comprendere l'importanza di ciò che vi viene negato, ed è davvero assurdo, quando si può, privarsi da sé della possibilità di leggere, ossia di un'attività che, come l'arte e la musica, aiuta a vivere in modo più completo, consapevole e profondo.
Di Ray Bradbury, scrittore statunitense nato a Waukegan nel 1920, ricordiamo anche Cronache marziane, La morte è un affare solitario, L'uomo illustrato e (per ragazzi) L'albero di Halloween.
Da Fahrenheit 451 è stato tratto, nel 1966, l'omonimo film di François Truffaut.
Romanzi dello stesso genere (fantascientifico-distopico) sono 1984, di George Orwell, e Il mondo nuovo, di Aldous Huxley.
A dominare questo mondo non è la dittatura oppressiva e onnipresente del 1984 di Orwell, in cui l'occhio del Grande Fratello vigila ovunque e punisce senza scampo, ma è, al contrario, una forma di controllo molto più leggera e impalpabile, anche se altrettanto efficacie. In questo caso, infatti, l'uomo non si sente controllato, può condurre una vita tranquilla, respira, ma, alienato e inebetito dalla televisione di regime, e in assenza di altri spunti culturali, viene portato all'isolamento sociale e privato di fatto della sua libertà mentale e della sua capacità di elaborare idee. In questo senso, quello di Fahrenheit 451, è un futuro niente affatto remoto e descrive, anzi, l'atteggiamento sempre esistito di chi cerca di controllare il pensiero altrui prima di tutto attraverso la censura dei libri (si possono citare svariate dittature, più e meno recenti, l'Inquisizione, ecc., ecc.). Per questo motivo il mondo descritto da Bradbury fa comprendere l'importanza di ciò che vi viene negato, ed è davvero assurdo, quando si può, privarsi da sé della possibilità di leggere, ossia di un'attività che, come l'arte e la musica, aiuta a vivere in modo più completo, consapevole e profondo.
Di Ray Bradbury, scrittore statunitense nato a Waukegan nel 1920, ricordiamo anche Cronache marziane, La morte è un affare solitario, L'uomo illustrato e (per ragazzi) L'albero di Halloween.
Da Fahrenheit 451 è stato tratto, nel 1966, l'omonimo film di François Truffaut.
Romanzi dello stesso genere (fantascientifico-distopico) sono 1984, di George Orwell, e Il mondo nuovo, di Aldous Huxley.
Gridoux
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